Solo perché sono tendenzialmente libertario non vuol dire che sia privo di empatia, anzi in questo articolo mi metto pure a difendere gli impiegati pubblici. Lo faccio io perché in genere se un impiegato pubblico prova a difendersi si concentra su “il mio servizio è essenziale”, “facciamo tanto bene alla comunità”, “nel mio ufficio ci si impegna tantissimo” (qualcuno gli dica che impegnarsi a fare cose cattive non è un tratto positivo) e altri argomenti debolissimi.
Invece siccome non sono un impiegato pubblico mi posso permettere di difenderli un pochino attivando la compassione che i burocrati spesso non sanno praticare.
Colleghi di scarsa qualità
La macchina pubblica non attira di certo l’eccellenza (anche se la propaganda dice il contrario). Di solito l’argomento è che chi è bravo non mette freni alla propria carriera lavorando nel settore pubblico, ma preferisce lavorare nel settore privato dove può fare più soldi e più bene. Ma visto che questo giudizio sembra mosso da un certo astio, io preferisco dire che nel settore pubblico manca il processo di selezione naturale essenziale per liberarsi di chi è meno bravo a fare un determinato lavoro.
Nel libero mercato se io sono bravo a fare una cosa, ottengo persone che mi pagano, e così continuo a fare quel lavoro. Però nel settore pubblico, le persone sono costrette a servirsi da me, quindi tornano sempre. Non è solo che è difficile licenziare le persone perché le leggi non sono abbastanza severe, ma manca proprio l’incentivo per farlo in chi dovrebbe farlo. Per esempio se un direttore di un ufficio pubblico avesse il potere di licenziare i dipendenti che reputa scarsi, che incentivo avrebbe a farlo? Finché non fanno danni seri, farsi carico del peso emotivo di un licenziamento, di una lite, anche solo di un rimprovero, è molto maggiore rispetto alla vaga idea che il pubblico è danneggiato dagli impiegati incompetenti. Il direttore di un’impresa privata invece sente il dolore dritto al portafogli, un dolore che spesso è considerato secondo solo a quello di un parto, e pertanto licenzia. Invece negli uffici pubblici restano persone che non sono adatte a quel ruolo, e i colleghi più abili si trovano rallentati o costretti a farsi carico di queste persone.
Sono sottomessi alla stessa macchina che alimentano
Vi potrà essere capitato personalmente di trovarvi di fronte un impiegato pubblico che usava l’espressione “mi spiace è la legge”, “non posso farci niente”, “ho le mani legate”, anche per richieste che comunque avevano senso. Queste espressioni non sono sempre una menzogna. I sistemi burocratici infatti non lasciano molta libertà all’impiegato pubblico, che quindi fa fatica ad esaudire le richieste che arrivano dai cittadini. La penna che forgia leggi e regolamenti non può coprire l’infinità di situazioni possibili nel mondo, ma poi l’impiegato è costretto a farlo, e non è un compito facile o possibile. Così abbiamo queste schiere di burocrati che sono sottomessi a ciò che creano e alimentano. Certo, la paga è ottima e pure lo sono i privilegi, ma sicuramente questa costrizione li priva di un po’ di umanità.
Obiettivi immorali e insensati
Gli impiegati pubblici rispondono alle richieste dei superiori e dei legislatori, e queste richiestono nascono da incentivi e desideri sbagliati. Possono nascere dalla necessità di fare voti, fare cassa, fare carriera, pararsi le chiappe. O ancora peggio arrivano dalla fantomatica idea che si può calcolare qualsiasi cosa al punto da predire il futuro. Ecco quindi che agli impiegati pubblici vengono posti obiettivi come “Fai 100 multe per eccesso di velocità”, “recupera 100 miliardi di evasione fiscale”, “completa ogni visita medica in 7 minuti” e la mia preferita “facciamo tante leggi, non stiamo fermi!”. E guai se il burocrate si rifiuta di obbedire! Questi obiettivi spesso durano poco, ma intanto abbiamo gli impiegati pubblici che provano davvero a raggiungerli, e così usano l’ingegno di cui sono dotati nel peggiore dei modi possibili, facendo molti danni: cartelle esattoriali casuali, multe a trabocchetto, e via dicendo. Magari poi chi pone l’obiettivo rinsavisce, ma intanto non riceve alcuna punizione per aver avanzato richieste idiote, dato che essere “serviti” dal pubblico è una cosa obbligatoria. Questi obiettivi hanno a volte intenti malefici, ma sono infine una forma di coercizione per i coercitori nella macchina coercitiva per eccellenza chiamata Stato. Vi sfido a trovare la nazione in cui non siano state fatte richieste deliranti ai burocrati di Stato che poi devono obbedire anche controvoglia.
Pretese impossibili della cultura statalista
Passiamo quindi alla colpa più grave, che è causata dalla cultura statalista. Purtroppo nella nostra società veniamo educati a vedere nello Stato il risolutore di tutti i problemi, e pretendiamo dagli impiegati pubblici cose che sarebbero riservate agli dei. Le pretese sono così tante che sarebbe impossibile farne una lista completa. Agli economisti di Stato (che non dovrebbero esistere) viene chiesto di predire l’andamento dei mercati e intervenire di conseguenza per far stare bene tutti. Ai politici viene chiesto di eliminare la disoccupazione. Agli esattori delle tasse gli si chiede di tenere conto di tutte le transazioni che avvengono tra cittadini. Insomma viene loro chiesto di capire il passato, conoscere perfettamente il presente, e predire il futuro.
Queste aspettative di perfezionismo, che arrivano da tutti i fronti, sono irrazionali, ma purtroppo sono parte fondamentale della cultura statalista. E che impatto possono avere sulla mente di una persona?
Gli impiegati dotati di maggior senso del dovere, sicuramente si sentiranno demotivati di fronte al gigantesco compito che gli viene imposto, e lavoreranno male.
Gli impiegati più ingenui, crederanno che davvero è possibile svolgere il compito loro assegnato, e saranno colti da un’euforia che sfiorerà sentimenti di onnipotenza. Dopotutto loro adesso fanno parte dello Stato, quindi tutto gli è possibile e che tutto gli è possibile gli viene ripetuto giornalmente dalla dominante cultura statalista.
Alla fine queste aspettative non faranno soffrire le pance dei burocrati, ma penso che molti intelletti soffrano se percepiscono la verità offuscata, in questo caso dal mito dell’onnipotenza statale.
Garantire un futuro ai propri figli
Passiamo adesso al discorso raccomandazioni e perché le difendo anche in ambito pubblico.
Partiamo con una breve nota triste: se parlate con l’Italiano medio di raccomandazioni, noterete come spesso confonde la raccomandazione in ambito privato con quella in ambito pubblico. Si sostiene che se io sono il proprietario di un’azienda, e assumo mio figlio anche se incompetente, sto facendo una cosa cattiva. Chi critica manca di empatia, e non capisce che un padre mette l’amore per un figlio sempre al primo posto(almeno spero), e che probabilmente se tiene il figlio incompetente in azienda è perché crede che quello sia il modo migliore per garantirgli una vita decente. Poi se è davvero così solo Dio lo sa.
Non mi sorprende comunque la critica costante verso le raccomandazioni nel privato. In Italia stiamo perdendo il senso della proprietà privata, ed il lavoro è visto come una cosa pubblica e dovuta a chi è più meritevole (su perché meritocrazia è una parola brutta scriverò un articolo). Non si capisce che se l’azienda è mia, ci faccio quello che voglio.
In ambito pubblico invece le raccomandazioni sono viste male praticamente da tutti, perché si ritiene che le conseguenze della scelta di un impiegato sbagliato danneggeranno l’ufficio pubblico che sta assumendo. Purtroppo anche qui manca l’empatia, e soprattutto la consapevolezza che una persona che finisce in un ufficio pubblico, è pur sempre una persona. Lo statalismo spinge per far credere che chi viene assunto nel pubblico ottenga poteri sovrumani, ma in realtà ottiene solo potere sugli umani. Per forza di cose continuerà ad secondo i suoi desideri e le sue ambizioni, queste non vengono eliminate magicamente una volta iniziato l’impiego pubblico, e non si può chiedere ad un uomo di annullare la sua umanità.
Adesso qualcuno dirà “è vero che i desideri rimangono, ma non è corretto fare carte false”. In questo caso avanzo due considerazioni: la prima è che bisogna vedere chi ha scritto le carte. Chi scrive le carte se può lascia spazio affinché le assunzioni vadano come dice lui. Se ha avuto il potere di scrivere le carte in quel modo, è perché gli è stato dato. Se non va bene come usa quel potere, allora perché gli è stato dato in primo luogo? Forse non bisogna avanzare certe pretese. Se invece vengono proprio prodotti documenti falsi, che sia dimostrato che così è stato. Buona fortuna però, perché non è sempre possibile e richiede un discreto uso di risorse.
Ma soprattutto capiamo una cosa: nei paesi dove la libertà economica è al minimo, tipo l’Italia, è normale che i figli degli impiegati pubblici non sappiano cosa diamine fare nella vita. Non è che l’Italia, o altri paesi socialisti, siano la terra delle opportunità. Ammesso anche che il figlio di un impiegato pubblico abbia avuto altre ambizioni e capacità, di certo non avrà l’opportunità di provarle o svilupparle, e quindi un padre cercherà disperatamente di sistemare il figlio, altrimenti rischia di vederlo soffrire nella disoccupazione.
Sto facendo l’esempio del figlio di un impiegato pubblico, ma va bene pure il figlio di un terzo che passa mazzette, un caro amico, o qualsiasi persona che purtroppo, nella nostra società corrotta dallo Stato, vede bene che il settore pubblico è uno dei pochi modi per ottenere risorse e fa di tutto per piazzarcisi. E quando il posto è ottenuto, visto che la nostra società ancora non ha capito che la tassazione è coercizione, di certo non sente il peso della provenienza del denaro. Né si sentiranno veramente le conseguenze dell’aver fatto un brutto lavoro, perché tanto le persone sono costrette a servirsi lì.
Quindi per quanto fare raccomandazioni nel settore pubblico sia sbagliato in alcuni casi, bisogna pure un attimo capire perché chi raccomanda finisce con l’agire in questa maniera. Invece di ostinarsi a ingigantire l’apparato pubblico e poi aumentare ulteriormente la schiera di impiegati pubblici assumendo controllori, sarebbe più sensato avere un apparato pubblico più piccolo, più facile da controllare, e che soprattutto non metta le mani nell’economia. Se l’economia è libera, e riesce a prosperare, poi non c’è bisogno di fare raccomandazioni di alcun tipo. Perché uno dovrebbe raccomandare un figlio che ha tante concrete e solide opportunità nel libero mercato? E se poi l’invasività dello Stato è minuscola, l’impatto che una cattiva raccomandazione pubblica avrà sulla vita quotidiana sarà pure piccola e sopportabile.
Gli impiegati pubblici sono solo persone
Concludo quindi tornando ad una delle considerazioni principali del pensiero libertario. Lo Stato è fatto di persone, e le persone si comporteranno da persone. Non si può quindi pretendere che un impiegato pubblico abbia comportamenti da non-persona.
Una società sana deve ambire a non avere alcuno Stato, e per quanto sia legittimo difendersi dagli impiegati pubblici, e per quanto sia importante trovare il modo di ridurre il settore pubblico e quindi costringere queste persone ad una fase di sofferenza durante il riposizionamento nel libero mercato, è importante non perdere di vista che sono semplici umani.